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Categoria: Articoli e pubblicazioni

L’autostima nello studio


L'autostima
è la considerazione che abbiamo di noi stessi, è un'autovalutazione globale di sé.
Vi sono coinvolti diversi ambiti della vita di una persona come l'aspetto fisico, emotivo, sentimentale, familiare, lavorativo, scolastico, culturale, etc.
Chi possiede una buona autostima fa ricorso alle proprie risorse, è flessibile, è determinato, si sente bene, è convinto di poter controllare gli eventi e la propria vita, presenta le caratteristiche di una persona resiliente.
Le persone con una bassa autostima tendono ad avere un'immagine di sé distorta, amplificando i propri difetti e minimizzando le proprie qualità , sentendosi così inadeguati. La loro voce interiore li attacca con affermazioni del tipo "Ho preso un bel voto ma sono stato fortunato"!
Per fortuna l'autostima si può nutrire attraverso gli apprezzamenti e si può migliorare poiché è dinamica e variabile nella vita. Un ruolo centrale nello sviluppo dell'autostima è a carico, prima di tutto, dei genitori poiché offrono un modello al bambino nel gestire le situazioni problematiche e degli altri adulti significativi (insegnanti, parenti, amici). I genitori possono influenzare la vita di un bambino e continuare ad esercitare tale influenza anche da grandi attraverso il dialogo interiore che ci accompagna sempre.
La mancanza di autostima è uno dei segnali di disagio psicologico che si manifesta attraverso l'insicurezza verso le richieste della vita, l'ansia, la paura dell'intimità, il sentirsi indesiderati, il temere il giudizio altrui e l'insoddisfazione di stare da soli senza potersi meritare benessere e felicità. La mancanza di fiducia in sé stessi e nelle proprie potenzialità ostacola la capacità di fronteggiare gli stressor.
Per raggiungere la stima di sé bisogna invece essere più consapevoli, conoscere i propri desideri, sentimenti, limiti ed obiettivi e poi assumersi la responsabilità delle proprie scelte giuste o sbagliate che siano, senza attribuire ad altri la colpa di errori o insuccessi e senza essere giudici troppo severi con sé stessi.
Per molto tempo la ricerca ha cercato di chiarire se una buona autostima precede il successo scolastico o se è vero il contrario. Ebbene, sembra sussistere un rapporto circolare tra i due fenomeni poiché avere una buona autostima favorisce un buon rendimento scolastico così come un buon rendimento scolastico promuove ed alimenta una buona autostima nello studente. Diversi autori ritengono che l'incidenza dell'autostima sul raggiungimento di buoni risultati scolastici risulta molto rilevante nel caso in cui lo studente ne sia particolarmente sprovvisto, poiché ne vengono compromessi perseveranza, fiducia e risultati scolastici. In questi casi di autostima particolarmente deficitaria, prima ancora di intraprendere qualunque forma di insegnamento di recupero, risulta molto più funzionale cercare di accrescerla.
La ricerca ha evidenziato come una buona autostima aiuti gli studenti ad attivare comportamenti e strategie efficaci per far fronte alle difficoltà scolastiche, mentre al contrario una bassa autostima è spesso abbinata a comportamenti poco produttivi.
Tra le difficoltà più sovente sottolineate dagli studenti emergono con forza quelle legate a situazioni di esame. Queste spesso agevolano l'emergere di paure che partendo dalla prova in sé assumono i connotati di una valutazione a tutto tondo della persona e non limitata al test in questione. Per Aldo Carotenuto (1991), in sede di esame, lo studente che ha buona autostima tenderà a produrre di più ed a fare migliore figura rispetto a soggetti insicuri che, pur essendosi impegnati molto, tendono a vivere ogni espressione del docente come un atto d'accusa. In generale, le ansie che riguardano questo tipo di studenti sono molteplici: timore di far confusione, paura di non sapere, timore di non essere adeguati, paura di essere considerati degli incapaci.
Mentre alcuni studenti sono ispirati dal successo, altri sono guidati dal timore di fallire e si accontentano di evitarlo. Si pongono target molto bassi, così semplici da raggiungere che il rischio di fallimento è pressoché nullo, ma non ricevono alcuna gratificazione nel raggiungerli.
Un'altra strategia per evitare la sconfitta consiste nel temporeggiare. Per Edoardo Giusti (1994), dietro al rimandare può nascondersi la paura di non riuscire a raggiungere il livello ottimale e questo timore rappresenta la paura del fallimento. In effetti studiando all'ultimo momento, si ha meno colpa se si fallisce e ci si sente estremamente bravi se si riesce.
Queste due strategie, che fra l'altro sono spesso destinate al fallimento, sono usate per camuffare le cause dell'insuccesso e per non confutare le proprie capacità ed abilità. In quest'ottica infatti, l'impegno può esser visto come una minaccia alla propria autostima poiché la combinazione fra impegno intenso e fallimento equivarrebbe ad una mancanza di capacità.
Per gli studenti motivati dal bisogno di evitare il fallimento, l'insuccesso in un compito assume il significato di "aver fallito non solo in quella prova, ma completamente" (Giusti, 1994), confermando così implicitamente quello che hanno sempre sospettato, cioè di non valere abbastanza. Al contrario, gli studenti motivati dal successo apprendono guidati da bisogni che comprendono quelli di migliorare, di assecondare le proprie curiosità e di solito ottengono buoni risultati perché hanno fiducia in loro stessi. In aggiunta i successi vanno ad implementare la loro autostima, aumentando la fiducia nell'affrontare compiti nuovi e più difficili (Giusti, 1994).

Dott.ssa Ilaria Monticone

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